La lezione di Luigi Tirapelle

scritto da crisco

Per bruciare brucia. E non può essere diversamente. Quando, dopo due stagioni e tre virgole di campionato, ti viene detto che è stato bello ma adesso si vuole voltare pagina e senza di te, la cosa non lascia indifferente nemmeno il più navigato dei filosofi.

Ma lui, Luigi Tirapelle, nell’intervista rilasciata al nostro sito non ha evidenziato un filo di acredine. Scontentezza sì, voglia di urlare addosso a qualcuno nemmeno l’ombra. Se proprio proprio bisogna cercare un malcontento, l’unico passaggio concesso è di non avere potuto giocare con la squadra che gli frullava nella mente. Di più, no. E in un universo, quello della sfera di cuoio dove ci si manda a quel paese in un attimo e per molto meno, questa è certamente una lezione da inserire nel libro della memoria. Tirapelle è veneto, terra fiera dove si è abituati a ragionare a tutto pragmatismo, dove si sa che le cose non hanno mai il sapore dell’eternità, che basta una folata di vento e una pianta può tremare.

Quindi si vive giorno per giorno, con grande consapevolezza di quanto si può dare e fare e dell’impegno che ci si deve mettere chiudendo la tentazione della stanchezza dentro uno sgabuzzino per non farla più uscire. Tempo per aprire il libro delle lamentazioni non ce n’è. Non ce lo si concede. Di tempo ce ne è uno soltanto e sprecarlo in qualche imprecazione contro chi magari ti ha stortato la riga dritta su cui stavi camminando è considerato cosa insana e improduttiva. “Se il Bellinzona ha scelto di cambiare allenatore è perché riteneva giusto così”. Filosofo? Si, forse. Galantuomo certamente. Che si conferma tale con gli auguri fatti, senza retoriche facili né infingimenti di circostanza, alla compagine granata. Nella quale crede. Anche oltre se stesso. E nella consapevolezza che, quando siedi su una panchina, il suo ricordo ti resta scolpito nell’anima anche quando, per divergenza di vedute o per naturale decadenza delle esperienze causa tempo incombente, le strade si biforcano.

E quindi quale lezione si può trarre dalle parole misurate e orfane di ogni livore dell’ex tecnico bellinzonese? Che un altro calcio è possibile. Che non è l’avere concluso un’ esperienza che ti spinga a maledirla o a imprecare contro chi te l’ha fatta interrompere. Che il calcio, come la vita, ha le sue salite e le sue discese. Che ogni atto che hai recitato (in senso buono, ovviamente) sul palcoscenico della conduzione tecnica ti forgia comunque. Come uomo di sport e persona in generale. Pronto per affrontare un’altra avventura con il medesimo spirito battagliero. E con la certezza che nel calcio non si perde mai davvero se ci si tiene stretta la voglia di combattere.

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