Nazionale femminile, Ana-Maria Crnogorčević: «È valsa la pena fare tanti sacrifici prima di diventare una professionista!»

scritto da Claudio Paronitti

Ana-Maria Crnogorčević – © Keystone/Gaëtan Bally/swisslife.ch

Con la rete messa a segno a inizio settembre con la Lituania nel quadro delle qualificazioni ai Campionati Europei femminili del 2021, Ana-Maria Crnogorčević ha superato Lara Dickenmann in vetta alla graduatoria delle migliori marcatrici della selezione nazionale rossocrociata A

I 54 centri complessivi hanno permesso alla 28enne calciatrice delle Portland Thorns, che può ricoprire diversi ruoli (in particolare, terzino destro e attaccante), di diventare l’elemento di cui tutto il mondo pallonaro femminile parla.

Come logica conseguenza, Julia Driesen-Rosenberg, responsabile dei social media di Swiss Life, uno degli sponsor principali dell’Associazione Svizzera di Football (ASF), ha incontrato la giocatrice elvetica di origini croate per un’interessante chiacchierata. Eccola di seguito (fonte swisslife.ch).

Gli inizi con il pallone – «È accaduto grazie a mio papà, che giocava in un piccolo campionato. Andavo a vederlo al sabato e io ne approfittavo per giocare nel campetto adiacente. Naturalmente, davo calci a un pallone anche vicino a casa. Ci trovavamo con gli amici finché non faceva sera e diventava buio».

La carriera professionistica – «Per tanto tempo il calcio femminile non mi è interessato per niente. Ho iniziato a giocare con i ragazzi e se fosse andata bene non li avrei lasciati. Ma poi, a 14 anni, è stato chiaro che avrei dovuto cambiare e scegliere una squadra femminile. Il primo anno è stato spaventoso, perché dovevo abituarmi. Alla maggiore età mi sono trasferita in Germania, ad Amburgo. E così sono diventata una professionista».

La formazione – «Ho sempre giocato a calcio, ma al suo fianco ho seguito una formazione. I miei genitori non avrebbero accettato una sola cosa soltanto. Trovo che la scuola sia importante per formare il carattere di una persona. E per me era chiaro: un solo infortunio e tutto veniva gettato dalla finestra. È stato difficile: quando avevo 18 anni mi svegliavo alle 6, andavo a scuola e poi agli allenamenti. E quando tornavo a casa. Dovevo prendermi cura di me stessa. Ma ne è valsa la pena».

L’attuale situazione personale negli States – «Mi piace moltissimo! Avrei dovuto scegliere di venire prima in America. A Portland è stata costruita una squadra incredibile. Ai nostri incontri casalinghi vengono a sostenerci più di 18’000 persone. Tutto ciò mi rende felice. Così come lo stile di gioco, diverso da quello europeo. Qua è più competitivo, più fisico. All’inizio dovevo andare oltre i miei limiti, anche perché giocavamo con più di 40 °C e con un’umidità del 95%. Dato che c’è molta distanza tra una città e l’altra, passiamo tante ore in aereo».

Lo stato del calcio femminile negli USA – «Diverse calciatrici della nazionale sono delle stelle e hanno sottoscritto un accordo di sponsorizzazione con Coca-Cola o Nike. In Svizzera, invece, non si investe nel calcio perché non è redditizio. Più investimenti nel calcio femminile significherebbero certamente più introiti».

I momenti difficili – «Quando vivevo a Francoforte c’era un allenatore che non mi volevo e non contava su di me. Di conseguenza, mi sono chiesta come intendevo proseguire. Anche adesso, dopo dieci anni di professionismo, ogni tanto mi domando per quanto tempo potrò mantenere questo ritmo e per quanto il mio corpo reggerà. Poi, però, ragiono dieci secondi e mi preparo al prossimo allenamento. Al momento non ho alcuna intenzione di appendere gli scarpini al chiodo».

I piani futuri – «Posso pensare di rimanere nell’ambiente sportivo e studiare management dello sport. Forse diventerò anche allenatrice. Come tecnico sarei un po’ come Jürgen Klopp – rigorosa e un po’ emozionale -, ma avrei voglia di provare. Un’altra via potrebbe essere la scuola di polizia, un lavoro che mi è sempre interessato».

Le pari opportunità – «Per me, i diritti delle donne sono importanti. Perché gli uomini e le donne non dovrebbero essere trattati nella medesima maniera e avere le stesse possibilità? Tutto inizia dalla formazione. Bisogna agire e non aspettare che qualcun’altro lo faccia per te. Tutti possono diventare custodi o medici, non importa se uomo o donna e dalle origini».

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