La paura di sbagliare

scritto da Davide Perego
 
di Maurizio Cairoli **

“Chi è senza peccato scagli la prima pietra!”. Non vorrei addentrarmi a tanto, scomodando Giovanni e il suo versetto evangelico. Più che altro, per sdrammatizzare un po’, in termini sportivi si potrebbe
dire: “chi è senza errore scagli la prima pietra!”. Già. Perché è questo il tema che tratteremo: l’errore.
Si parla tanto, probabilmente troppo, delle situazioni arbitrali giudicate tali. Quasi che l’arbitro non abbia il diritto di sbagliare. Diritto. Termine quanto mai più appropriato. In caso contrario parleremmo di perfezione, ossia, e mi rifaccio alla sua definizione “il grado qualitativo più elevato,
tale da escludere qualsiasi difetto e spesso identificabile con l’assolutezza o la massima compiutezza”.
Praticamente utopia allo stato puro. Un dettaglio calcisticamente impossibile dall’ottenere. Per ovvie ragioni. Nel corso degli anni sempre più persone si sono concentrate nello studio dei numeri. Questo dettaglio puramente di natura statistica non ha certo escluso la sfera arbitrale fornendo dati quanto mai interessanti.

Tra le varie si è appurato che nel corso di una partita l’arbitro è mediamente portato a fischiare dalle trenta alle quaranta scorrettezze. Un dato importante ma altresì incompleto, almeno ai nostri occhi, perchè si sofferma semplicemente sulle “prese di fatto” dimenticandosi tutte le altre decisioni, come per esempio i vari contrasti di gioco considerati regolari. Interpretazioni, discrezioni e scelte che unite tra loro comportano, nell’arco dei novanta minuti, più di cento decisioni cui farsi carico. Un numero elevatissimo, che meglio fa comprendere quanto sia facile cadere in errore. Per comprendere il “lavoro oscuro” alla quale si è chiamati ad operare vorrei rifarmi alla teoria dell’iceberg secondo cui ciò che si vede in apparenza rappresenta solo una piccola parte di un insieme molto più grande di cose, che però rimangono nascoste. Così come lo è la parte sommersa dell’iceberg, il 90% dell’intera massa ghiacciata. Questo per dire quanto la nostra mente sia in continuo esercizio portandoci a scelte numeriche decisamente superiori rispetto ai semplici falli che fischiamo sul campo. Ecco quindi che il “cadere in errore” non deve essere vissuto come minaccia ma come diretta conseguenza da parte di chi, per mestiere, è chiamato a farlo. Rifacendoci al pensiero di Aristotele, “le persone perfette non sbagliano mai semplicemente perché non esistono”, l’arbitro di oggi deve saper convivere con la possibilità di sbagliare senza però venirne sopraffatto. Un fattore non da poco e che va a braccetto con un altro aspetto da evitare: la paura di sbagliare. Si potrebbero scrivere dei libri a riguardo (e qualcuno già l’ha fatto) ma cosa significa realmente avere paura di sbagliare e come dobbiamo comportarci a tale riguardo? Il termine “paura” non è altro che l’espressione di un emozione (attuale o in previsione futura) che può portare ad un alterazione della stato d’animo, creando possibile preoccupazione e/o incertezza. Uno status pertanto considerato negativo ma che, in realtà, induce nella persona effetti decisamente positivi. E non solo nell’ambito sportivo. Provare un senso di paura porta l’individuo ad incrementare la propria soglia di allerta. Una sorta di autodifesa per intenderci, utile a favorire maggior riflessione prima di agire oltre che ad aiutarla nella ricerca di soluzioni di fronte ad un possibile ostacolo. Tutto ciò grazie ad una reazione chimica che, all’interno del nostro corpo, va incrementando la concentrazione di adrenalina. Questo stato emotivo alla quale siamo pervasi ci aiuta inconsciamente a sviluppare una tra le doti di maggior
importanza se riferito all’arbitraggi: il coraggio. Un aspetto pertanto allenabile, col tempo e la dedizione. In poche parole.. con l’esperienza.
 
** Maurizio Cairoli: Istruttore ASF – Ispettore – Arbitro attivo.
 
Articolo tratto dalla rivista “L’Arbitro” . Numero 2 – Marzo 2015 – Per gentile concessione dell’autore.

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