Guido Codoni: “Una maglia che non toglierò mai” (seconda parte)

scritto da Davide Perego


8.Come arbitro sei arrivato fino alla prima lega. Cosa richiedeva in termini di tempo ed impegno quel tipo di campionato ?
Parecchio. Almeno quattro allenamenti settimanali, test fisici e teorici oltralpe e trasferte settimanali, un impegno non da poco.
9. Probabilmente il tuo periodo di maggior gratificazione è stato quando hai scelto di assistere Francesco Bianchi come assistente. Come hai vissuto il cambio di ruolo e com’è stato il tuo rapporto con Francesco?
Mai avrei pensato di abbracciare la carriera di assistente. Ame piaceva molto arbitrare. Poi quando mi offrirono questa possibilità accettai senza esitare. Coronavo un sogno: quello di mettere piedi nei migliori stadi nazionali! Inoltre era il periodo in cui dall’alto cominciarono a delegare qualche compito agli assistenti. Il mio rapporto con Francesco fu ottimo, mai uno screzio, anche perché, pensandoci bene, le mie prestazioni non hanno mai dato adito a lamentela alcuna! Quando divenne dirigente ed assunse la carica federale di responsabile degli arbitri il nostro rapporto subì un cambiamento.Iniziò tutto per colpa di una presa di posizione della Commissione arbitri nei miei confronti, giudicata dal sottoscritto spropositata e pertanto, a mio parere, ingiusta.

10. Raccontaci qualche episodio divertente capitato nel corso della tua lunga carriera.
Ce ne sono molti. Il primo: eravamo a Lucerna e la squadra di casa contendeva al Sion l’accesso alla finale di Coppa. Il portiere dei vallesani era Lehmann, una testa calda sempre pronta a contestare le decisioni arbitrali. Segnò il Lucerna e il cerbero del Sion, ritenendo l’azione fosse viziata da fuorigioco, scattò verso di me. Io pensai: “se l’attendo sul posto può sembrare che abbia paura e non faccio certo una bella figura”. Allora gli andai incontro rispondendo alle sue proteste in un dialetto non particolarmente dolce. Eravamo testa contro testa e l’immagine fece il giro del paese. Per il secondo episodio divertente mi viene in mente Ginevra. Si giocava Servette-GC. Ancora nel primo tempo, il nazionale Alain Sutter ricevette un pallone ben oltre il penultimo difensore. Io non alzai la bandierina perché al momento della partenza era in posizione regolare. Sutter s’involò verso la porta avversaria e segnò. Naturalmente grandi proteste e forti contestazioni del pubblico. Alla fine dell’incontro, l’ispettore Marbet, che aveva visionato le immagini alla televisione, preso atto che avevo preso la decisione corretta si felicitò con me. Infine tra i più divertenti c’è quello accadutomi a San Gallo! Su un rilancio scattai per seguire l’azione e la bandierina si sfilò dal manico. Sentii il pubblico mettersi a ridere.  Fermarsi a raccogliere la bandierina o continuare a seguire l’azione? Scelsi quest’ultima opzione. Se fosse successo qualcosa in qualche modo mi sarei arrangiato. Fortunatamente tutto prosegui senza intoppi!
11. Visto che hai avuto modo di arbitrare anche con Urs Maier e Werner Müller che differenze hai riscontrato in termini di mentalità e approccio alla gara tra noi arbitri ticinesi e loro di altro cantone?
Nessuna grande differenza in particolare. Loro avevano una grande meticolosità nel preparare la partita. In più, per quello che ho potuto osservare, si godevano molto i momenti post gara. 
12. Come Istruttore hai visionato tantissimi arbitri. Ricordi qualcuno in particolare? 
Certo.. Massimo Busacca. Lo conobbi il 3 novembre del 1991, proprio in occasione della sua visionatura. Si presentava coi capelli lunghi e l’orecchino al lobo. La partita in questione era Gravesano – Superiore valevole per il campionato di quarta divisione. Una gara molto difficile da arbitrare: giocatori irrispettosi, propensi al gioco “pesante” ed un pubblico facile al commento denigratorio. Ai miei occhi, però, Massimo parve subito un talento. Ricordo che a fine partita lo trovai “scosso” per le reiterate e gratuite critiche. Mi disse che se quelli erano gli ambienti nei quali gli arbitri dovevano agire avrebbe senz’altro smesso. Lo tranquillizzai facendogli presente la sua ottima prestazione, compilando un rapporto più che buono. Spiccò il volo e arrivò ad essere designato come miglior arbitro del mondo.

13. Cosa pensavano i tuoi familiari di questa passione. Ti seguivano? 

Mia moglie mi ha lasciato fare. Mi ha seguito durante qualche partita all’inizio, poi basta. A lei il calcio proprio non è mai piaciuto. Speravo che mio figlio iniziasse ad arbitrare ma ha preferito giocare. 
14. Qual è il ricordo, il momento, che non potrai mai dimenticare? 
Come arbitro, se chiudo gli occhi, i momenti che ricordo con maggior intensità sono il passaggio dal corridoio degli spogliatoi, con tutte le tensioni che si hanno prima dell’inizio dell’incontro, fino al catino di gioco. Uscendo e trovandosi in stadi colmi di gente urlante era un’emozione non da poco. Quello era il momento in cui bisognava abbandonare ogni emozione e concentrarsi completamente sulla partita. 
15. A distanza di 40 anni come vedi oggi il movimento? 
Un mio amico mi ha scritto: “Se penso a quanti anni abbiamo trascorso insieme, spesso per inventare qualcosa nei corsi per renderli più accattivanti, anche per disquisire su cavillosi quesiti tecnici che tanto ci appassionavano. Se penso alle puntuali polemiche che scaturivano da posizioni diverse e combattute”. Che ricordi.. Sono cambiate un po’ di cose. 
16. E tu? Come vedi Guido Codoni dopo 40 anni di arbitraggio?

Il mio bilancio è in parità. Ho dato molto e ho ricevuto molto. Ho vissuto momenti esaltanti ma anche grandi delusioni. Ho conosciuto persone di grande spessore ed altre con le quali la chimica non era convergente. Insomma, né più né meno di quanto riserva la vita. Per me, comunque, l’arbitraggio è stata una grandissima esperienza, che mi ha dato molte possibilità di crescita.

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