Ma perché in Ticino non si vogliono rispettare le gerarchie?

scritto da Claudio Paronitti

Da tre anni a questa parte – dalla metà di luglio inoltrata diverranno quattro – la piramide del calcio ticinese è chiara. Eppure, nonostante ciò, c’è sempre spazio per la polemica

Lugano in Raiffeisen Super League, Chiasso in Brack.ch Challenge League e Bellinzona (se tutto si conclude come nelle previsioni) in Promotion League. Dalla prossima stagione potrebbe essere questa la gerarchia del pallone cantonale. Ultimamente, i piani alti del Team Ticino, a cui le tre suddette società affidano la preparazione al mondo del professionismo dei nostri giovani, non hanno perso tempo per uscire allo scoperto con inutili polemiche che non fanno il bene di nessuno.

A rispondere per le rime ai personaggi che guidano le varie formazioni giovanili cantonali ci ha pensato il numero uno del Lugano, Angelo Renzetti, il quale – con un misto tra sorpresa e amarezza – ha esternato le sue considerazioni in merito ai valori visibili agli occhi di tutti. Come se non bastasse, le parole del patron sono state prese come un affronto da parte di alcuni vertici della Federazione, a cui non sono “andate giù” le dichiarazioni rilasciate da una persona passionale quale il “Pres”, sempre solo alla guida di una società d’élite come lo è il Football Club Lugano.

Si parla tanto di crescita dei giovani e del loro inserimento nelle squadre ‘pro’. Si fanno anche speculazioni sul modus operandi del club bianconero a riguardo degli acquisti effettuati fuori Cantone. Questo è però un altro discorso. La differenza che si nota però tra il Team Ticino e le altre formazioni cantonali (Team Vaud, Team Argovia e gli altri) è che un ragazzo che studia e gioca a Tenero, per vari motivi, non riesce a emergere e, nel contempo, non può nemmeno provare a “fare carriera” nel mondo del calcio, mentre nelle altre parti della Svizzera sembra esserci un’unità maggiore. Quella che in Ticino, purtroppo, pare un’esclusiva delle tre società più rappresentative, le quali, piuttosto che ricevere, sono costrette a “dare e basta”.

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