Coly: Due anni di stop, poi 3 gol

scritto da Davide Perego
«Se sono un calciatore lo devo a mio zio. Lui si è occupato a lungo di me. Con lui correvo lungo la spiaggia, sulla sabbia. Da lui ho imparato a giocare con il pallone tra i piedi. Grazie a lui sono cresciuto con lo sport nella testa».
di Paolo Galli
Matar Coly gioca a calcio da una vita. Ha imparato ad amare lo sport da suo zio. «Come ogni piccolo africano, giocavo a pallone sulle strade del quartiere, con i miei coetanei». Poi, i più bravi e i più fortunati finiscono nelle accademie. «Io entrai nell’Académie Generation Foot, di Mady Touré, a Dakar». La sua Tivaouane è vicinissima a Dakar. E Dakar e le accademie sono vicinissime al calcio europeo. «Io venni scoperto da Jean-Luc Lamarche, DS del Lens. Partii giovanissimo». Il sedicenne Matar prende l’aereo da Dakar con Lamarche. Ha 16 anni, è timido e un po’ impaurito. «Come ogni giovane africano, avevo il sogno dell’Europa. Ma non volevo lasciare casa, la mia famiglia». Ad accoglierlo, la segretaria del Lens. «Una nuova famiglia». È marzo. I suoi nuovi compagni sono in maniche corte e pantaloncini. Matar invece, al suo primo allenamento, ha freddo; le maniche della sua maglietta sono lunghe, e indossa la tuta. Uno choc culturale e… termico. In questo pomeriggio sta cominciando la sua carriera da calciatore, e la sua vita da emigrato. Poi batterà il freddo, o quantomeno imparerà a gestirlo.

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