L’esonero di un mister, puntata 1, perchè la società esonera?

scritto da Walter Savigliano

Eccoci alla prima puntata della serie web di Chalcio.com “L’esonero di un mister”.

Prima puntata: ma perchè una società decide di esonerare un allenatore?

Ci si dovrebbe chiedere innanzitutto quanto convenga un esonero e quali siano le cause che portano le società a compiere tale scelta. Dalle statistiche facilmente reperibili online emerge che non è provato che cambiare allenatore paghi. Anzi. In molti casi il cambio non produce miglioramenti, in altri fa peggiorare la situazione costringendo la società a tornare sui propri passi. Naturalmente è corretto anche sottolineare che il cambio del mister si riveli azzeccato e la squadra riesca a cambiare marcia. Un aspetto che difficilmente emerge e che assume comunque grande rilevanza è quello dell’influenza del mercato invernale.

Vale a dire, di quanto è cambiata la squadra che si rivela migliorata dal cambio di gestione tecnica durante la sessione di mercato invernale? Questo dovrebbe far riflettere soprattutto su un aspetto: non è solo l’allenatore a determinare il rendimento di una squadra e quindi il risultato finale. Molti dicono che un allenatore incida parecchio, altri poco. Di sicuro non è l’unico artefice di un successo o l’unico colpevole di un fallimento, come in un divorzio, non è mai colpa totalmente del marito o della moglie. Il fatto che le società che retrocedono (e che quindi probabilmente hanno svariati problemi, non solo quello del tecnico, magari con un parco giocatori non all’altezza o operazioni di mercato effettuate infelicemente) cambino tutte guida tecnica, spesso più volte, lascia intravedere che non vi deve essere grande chiarezza nell’ambito della società stessa, oppure che non vi sia un progetto a medio/lungo termine continuamente controllato, condiviso e valorizzato.

Dunque sorge spontanea la domanda, ma le società che esonerano un mister perchè lo fanno?

  • Perché non si possono cambiare tutti i giocatori e quindi se ci sono problemi è giusto tentare con il cambio della guida tecnica
  • Perché se è vero che la gestione sportiva spetta al direttore sportivo (o al presidente), lui raramente dichiarerà di aver sbagliato tutto (cioè giocatori in sede di campagna acquisti), sarà proprio questi a decidere di cambiare tecnico per dimostrare che il parco giocatori era adeguato
  • Perché tante volte una scossa a livello psicologico può fare la differenza, pur nella consapevolezza che non si possono far miracoli e che i giocatori “son quelli”
  • Perché nonostante la consapevolezza che gli errori siano di molti, la piazza (giornalisti, tifosi e forse anche parte dello staff) spinge e la società non ha voglia di tirarsela contro. Si potrebbero citare anche molte altre motivazioni, più o meno valide
  • Perchè la causa potrebbe essere anche un tipo di comunicazione che non funziona tra mister e squadra, ad esempio mister bravo in campo ma troppo autoritario o oppure al contrario “troppo molle”, per cui in questo caso un cambio mister è certamente azzeccato.
Resta il fatto che molto spesso l’allenatore diventa il capro espiatorio in un momento difficile. Ci sono però anche casi in cui sono i rapporti umani a deteriorarsi, nonostante magari i risultati non siano del tutto negativi. Problemi di convivenza tra presidente e allenatore, tra direttore sportivo e allenatore, tra allenatore e spogliatoio, staff tecnico… Situazioni che inducono i comitati o la proprietà a cambiare. Altro problema può essere quello della condivisione dei programmi societari. Questi dovrebbero essere avallati dall’allenatore ancor prima della stagione, ma può capitare che questi “cambi idea in corsa”, perché forse si trova in posizioni di classifica inaspettate e decida di anteporre il proprio interesse a quello della società, oppure che siano i programmi a cambiare, per cambio di gestione societaria (entra un nuovo presidente) o variazioni importanti di budget che inducano le componenti a cambiare obiettivi.
Le cause che possono portare all’esonero potrebbero quindi essere:
  • Risultati deludenti
  • Deterioramento dei rapporti con lo staff-tecnico
  • Deterioramento dei rapporti con lo spogliatoio
  • Deterioramento dei rapporti con il direttore sportivo
  • Deterioramento dei rapporti con la proprietà
  • Deterioramento dei rapporti con la tifoseria
  • Cambio di programmi societari “in corsa”
  • Comportamenti gravi da parte dell’allenatore
L’allenatore professionista, come dice la parola stessa, è un lavoratore. E’ una persona, cioè, che si guadagna da vivere allenando. L’allenare è in tal caso visto quindi come una vera e propria professione, con oneri e onori, tanto quanto il coltivare, il saldare, il cucinare. Certo, ognuna di queste azioni, in realtà, potrebbe esistere in natura differente, in ambito cioè non professionistico, ma dilettantistico o amatoriale. Uno chef d’alto livello percepisce una parcella o uno stipendio importanti per le sue prestazioni. Un amante della cucina può essere comunque molto bravo a cucinare, seppur lo faccia solo il venerdì sera per gli amici. L’azione è la medesima, il contesto completamente diverso. Allo stesso modo si può allenare per passione, la squadra dei bambini del proprio paese, come può allenare a livello professionistico in ambito nazionale, internazionale o mondiale, percependo anche stipendi importanti. Il contesto nel quale si esercita l’azione non ne cambia la dignità.
Allenare, come coltivare o cucinare, sono azioni umane che meritano rispetto e considerazione indipendentemente dal “livello”. Esiste però una differenza di fondo, da non trascurare: chiunque è pronto ad ammettere di non saper cucinare e chiunque sa riconoscere l’abilità di un bravo chef. In ambito calcistico, invece, è più difficile che una persona, pur operante in altri ambiti (tifoso, presidente…) rispetti il ruolo dell’allenatore. E non sempre è in grado di riconoscerne le doti. Questo crea ovviamente una grande confusione, rendendo ancor più precario un ruolo, un lavoro, che già porta con sé elementi di instabilità. Mentre l’allenatore professionista può essere solo un lavoratore dipendente.
Non esiste parcella, non è un libero professionista. Che percepisca poche migliaia di euro mensili o milioni di euro all’anno, dal punto di vista contrattuale rimane un dipendente. E’ comunque raro che il datore di lavoro abbia la capacità, nonché l’umiltà per riconoscere e definire la professione altrui (a volte il presidente tanto quanto il fruttivendolo è convinto di capire di calcio), ecco che quella dell’allenatore diventa una figura attaccabile, vulnerabile. Una figura che non sempre è in grado di decidere da sola il proprio destino. Sapersi districare in questo contesto professionale, capendone le dinamiche, diventa forse la qualità più importante per un allenatore al giorno d’oggi. Ancor più che saper incidere sulla crescita tecnica o tattica di una squadra.

Nella prossima puntata parleremo dell’analisi delle cause di un esonero.

Per restare sempre informato delle puntate e di ogni nostra notizia ti consigliamo di scaricare Telegram, vai a questo link https://t.me/Chalcio/

Leggi anche questi...